Dopo che il coronavirus aveva concesso una pausa in estate, con l’arrivo dell’autunno i contagi sono tornati a risalire, proprio in questi giorni, stanno arrivando notizie non proprio rassicuranti da diverse Residenze Sanitarie per Anziani (Rsa) in tutta Italia. Per quanto riguarda il Lazio l’allarme arriva dalla Asl di Viterbo: è stato infatti rilevato un focolaio in una casa di riposo del comune di Farnese. Per ora risultano positivi 13 operatori, posti in isolamento domiciliare, ma la preoccupazione maggiore è per gli ospiti anziani, spesso con malattie pregresse e quindi più fragili di fronte ad una possibile infezione. Una notizia più grave arriva invece dalla Lombardia dove in una Rsa di Bollate, alle porte di Milano, sono risultati contagiati dal virus ben 53 ospiti su 55: alcuni di questi hanno già sviluppato dei sintomi anche se per ora nessuno pare avere una forma grave. Nella stessa RSA sono positivi 23 operatori su 64. Al momento non si sa da dove possa essere partito il contagio, se da un nuovo ospite o da un operatore, ma quello che è evidente – sommando questi due casi ad altre notizie simili che nei giorni sono arrivate dalla Puglia (Alberobello) e dall’Emilia Romagna (Bologna, 40 ospiti positivi) – è che ancora oggi garantire totale sicurezza agli anziani ospitati in queste strutture non è semplice e che forse le misure di sicurezza non bastano. Su questo tema è intervenuto Michele Vannini, segretario nazionale Fp Cgil, con delega alla sanità (in foto), che ha detto: “E’ chiaro che queste strutture sono un elemento debole del sistema. Le Rsa vanno ripensate al più presto anche in ottica Covid. In queste strutture manca il personale, i provvedimenti precedentemente presi dal Governo, che hanno dato la possibilità alle Asl di assumere infermieri e personale socio-sanitario, hanno di fatto portato a una fuga degli operatori dalle Rsa, pubbliche e convenzionate, attratti dalla possibilità di lavorare nel Ssn. Questo è accaduto praticamente in tutto il Nord Italia, così c’è stata una migrazione di personale che ha lasciato scoperte le Rsa e ha messo in ginocchio molti territori. C’è poi da dire che le RSA non sono pensate per avere una dimensione prevalentemente medica, il personale non è preparato dal punto di vista clinico, ma solo per l’attività assistenziale. Questo è un limite e in tempi di Covid la scarsa preparazione può fare la differenza. Per questo è necessario pensare a ‘Rsa Covid’ in grado di dare una risposta migliore”.
Il tema non è certo nuovo: durante la prima ondata le RSA erano state gravemente colpite e più recentemente, a settembre, un report dell’Istituto superiore di Sanità avvertiva sulla necessità “di garantire laddove siano presenti ospiti Covid-19 sospetti o accertati (anche in attesa di trasferimento) la presenza di infermieri sette giorni su sette h24 e supporto medico”. Medici che però, secondo il sindacalista, sono in genere presente in misura inferiore rispetto a quello che sarebbe necessario.
Nel frattempo per far fronte al rischio di focolai la regione Emilia Romagna ha chiuso alle visite dei parenti: una misura presa certamente per proteggere la vita degli anziani ospiti ma che senza dubbio andrà ad aver un impatto negativo sulle loro relazioni affettive contribuendo ad aumentare depressione e disagio psicologico, che erano già cresciuti durante il lockdown.
di Ilaria Ciancaleoni Bartoli