L’Agenzia Italiana del Farmaco ha presentato a Roma il nuovo algoritmo sull’ipertensione arteriosa, realizzato dall’Agenzia in collaborazione con la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA). Il percorso decisionale terapeutico – che rappresenta uno strumento di orientamento alle strategie prescrittive – è stato illustrato dal Presidente dell’AIFA, Sergio Pecorelli, dal Direttore Generale, Luca Pani, e dal presidente della SIIA, Claudio Borghi.
“Limitare o attenuare il ricorso alle terapie farmacologiche adottando stili di vita corretti e impiegare i farmaci, laddove necessario, nel modo più appropriato: sono queste – ha affermato Pecorelli – le due tendenze principali che emergono dall’analisi dell’algoritmo. Tenere sotto controllo la pressione significa prevenire eventi cardiovascolari gravi ma soprattutto poter godere di una qualità di vita migliore. Oggi si vive più a lungo e l’Italia è tra i paesi europei con speranza di vita più elevata. Tuttavia gli ultimi anni, circa sette, sono segnati dalla malattia. Il nostro obiettivo deve essere trascorrere per quanto possibile in salute l’intero arco della vita. Per questo l’Europa è impegnata a promuovere concetti come l’health literacy, l’empowerment del paziente e l’aderenza alle terapie, insieme ai corretti stili di vita intesi non come un’alternativa alla terapia farmacologica, ma come un intervento preventivo e integrativo ai farmaci. Si tratta di temi su cui l’Italia e in particolare il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sono in prima linea”.
“Non si tratta di linee guida né di note limitative – ha spiegato Pani illustrando l’algoritmo – ma di un servizio aperto a tutti e suscettibile di ulteriore perfezionamento, qualora emergessero nuove evidenze scientifiche. Uno schema che traduce il percorso logico che un grande clinico compie quando si trova di fronte a un paziente iperteso, prima di definire la terapia più appropriata al caso specifico. L’algoritmo consente di individuare strategie per popolazioni di pazienti e non è una guida alla scelta della terapia specifica, tuttavia riteniamo sia uno strumento prezioso non solo per il medico ma anche per il paziente, che troverà informazioni certificate e utili per acquisire maggiore consapevolezza sulla sua condizione e potrà avere un ruolo più attivo nella gestione della patologia. Ciò che si evince è che il farmaco non è sempre la scelta ottimale e che l’adozione di comportamenti corretti rappresenta nella maggior parte dei casi la prima soluzione che il clinico tenderà a suggerire al paziente”.
“È stata un’esperienza stimolante e molto positiva integrare il sapere tecnico-scientifico di un’Agenzia regolatoria come l’AIFA con le conoscenze clinico-pratiche di una Società scientifica come la SIIA per tradurre in uno schema concreto l’esperienza derivante in primo luogo dalle evidenze della pratica clinica – ha affermato il professor Borghi – Questo percorso decisionale potrà essere di supporto al paziente per modificare il suo atteggiamento nei riguardi della patologia e correggere quelle distorsioni che possono essere d’ostacolo alla definizione della corretta strategia di cura. Non dimentichiamo che il più delle volte sono ragioni di carattere soggettivo a rendere difficile il controllo della PA nella popolazione ipertesa.”
L’ipertensione arteriosa colpisce circa il 40% delle popolazioni industrializzate e la sua prevalenza è in aumento in tutto il mondo. Il 54% degli ictus e il 47% delle malattie coronariche sono attribuibili all’ipertensione, che è causa di 7,6 milioni di morti ogni anno (13,5% del totale) e di 6,3 milioni di anni di disabilità (4,4% del totale). È presente inoltre come co-morbilità nel 90% circa dei pazienti con malattie cardiovascolari. In Italia, secondo i dati OsMed, il 28,3% della popolazione assistibile risulta affetto da ipertensione (30-40% della popolazione generale). In poco più della metà dei pazienti (55,5%) il trattamento antipertensivo viene assunto con continuità (+0,2% nel 2014 rispetto al 2013). L’aderenza è leggermente superiore al Nord (56,8%), rispetto al Sud (56,2%) e soprattutto al Centro (50,4%), con minime differenze di genere (uomini 57,4%; donne 53,9%), e aumenta al crescere dell’età, nei pazienti già in trattamento e in quelli con pregresso evento cardiovascolare o diabete.