È quanto emerge da uno studio californiano pubblicato su Nature Communications
Se in età giovanile il profilo genetico svolge un ruolo fondamentale, quest’ultimo sembrerebbe meno utile nel predire l’espressione dei geni in età anziana.È quanto emerge da uno studio recente, condotto da un team dell’Università della California di Berkeley, guidato da Peter Sudmant e pubblicato su Nature Communications 2022 https://www.nature.com/articles/s41467-022-33509-0 , il quale ha evidenziato che, in molti casi, l’età gioca un ruolo più importante della genetica nel determinare quali geni nel nostro organismo devono restare ‘accesi’ o ‘spenti’, e che ciò influenzerebbe la suscettibilità alle malattie.
I ricercatori hanno costruito un modello statistico per valutare i relativi ruoli di genetica e invecchiamento in 27 diversi tessuti umani provenienti da quasi mille persone, osservando che l’impatto dell’invecchiamento varia ampiamente, più di venti volte, tra i tessuti. Questo processo naturale, dimostrerebbe quindi di essere più importante delle variazioni genetiche nell’impatto sull’espressione di molti geni, man mano che si va avanti con l’età.
I risultati di questa ricerca sarebbero concordare con la cosiddetta ‘ipotesi di Medawar’, secondo la quale i geni che sono accesi quando si è giovani sono ‘obbligati’ a rispettare l’evoluzione perché hanno un ruolo fondamentale nella sopravvivenza, mentre i geni espressi dopo l’età riproduttiva – nello studio l’età media dei tessuti superava i 55 anni – non subiscono la “pressione” dell’evoluzione.
Eppure, come evidenziano Sudmant e colleghi, l’ipotesi di Medawar non sarebbe valida per tutti i tessuti. In cinque tipi tra i 27 tessuti analizzati, infatti, geni importanti nel processo evolutivo sembrano essere espressi a livelli elevati anche nelle persone più anziane.