Prof. Fabrizio Pregliasco (Milano): “Assistiamo a ondate di contagi che, nel tempo, perdono intensità, come le onde provocate da un sasso nello stagno. Questo perché il virus continua a generare nuove varianti e reinfettare. Perciò vaccinarsi è fondamentale”
Le oltre 12 miliardi di dosi di vaccino, somministrate in tutto il mondo dagli ultimi giorni del 2020 ad agosto di quest’anno, sono una chiara rappresentazione dello sforzo compiuto a livello globale per arrestare la pandemia provocata dal virus SARS-CoV-2. Fino a un paio di anni fa, solo quanti sono vissuti negli anni di diffusione della spagnola avevano sperimentato le conseguenze di una pandemia (anche quella da AIDS è una pandemia ma la sua natura meno esplosiva fatica a farcela percepire come tale) oggi, invece, gli abitanti di tutto il mondo, dai più giovani agli anziani, hanno imparato il significato delle restrizioni che si applicano in queste situazioni. Quale dovrebbe essere, allora, la lezione del COVID-19? La prima è certamente quella della prevenzione che trova nei vaccini il più solido argomento.
Per contrastare la diffusione del virus SARS-CoV-2 sono state chiamate a raccolta tutte le menti scientifiche del pianeta e si sono resi necessari sostanziosi investimenti. La lista delle sperimentazioni cliniche e delle tipologie di vaccino allo studio si è allungata di giorno in giorno e, dopo circa un anno dallo scoppio della pandemia, sono arrivati i primi vaccini per proteggerci dalle conseguenze più gravi della malattia: quelle che, nel ricordo comune, sono associate alle immagini delle file di camion con le bare dei morti o ai ricoverati in terapia intensiva, intubati e con i caschi per agevolare la respirazione.
Oggi, sono circa 230 i vaccini in via di sviluppo e quasi 800 i trial clinici in corso. Disponiamo di vaccini approvati e di altri ancora in fase di studio. Abbiamo farmaci – soprattutto gli anticorpi monoclonali e gli antivirali – per i casi più severi di malattia e un solido protocollo di gestione dei malati. Perciò la domanda che sorge spontaneo porsi è a che punto ci troviamo. E come dobbiamo continuare a comportarci?
“Attualmente viviamo in una parentesi tra una situazione di pandemia e un andamento endemico”, commenta il prof. Fabrizio Pregliasco, Direttore Sanitario d’Azienda presso l’IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. “Assistiamo a ondate di contagi che, nel tempo, perdono intensità, come le onde provocate da un sasso nello stagno. Tutto ciò è il risultato dell’elevata capacità del virus SARS-CoV-2 di modificarsi e attaccare persone già colpite dall’infezione. Pertanto, in questa condizione vaccinarsi è fondamentale”. Analogamente a quanto succede con l’influenza, per la quale i vaccini vengono aggiornati ogni anno contro le nuove varianti, anche per il COVID-19 sarà utile pensare di rinnovare la protezione dalle forme aggressive di malattia. “Le persone di età uguale o superiore a 60 anni, quelle affette da gravi immunodeficienze o problematiche oncologiche avanzate e tutti gli individui che rientrano nelle categorie fragili, cioè affetti da malattie respiratorie, cardiocircolatorie, neurologiche, epatiche o endocrinologiche gravi, devono fare la quarta dose. Alcuni addirittura la quinta, al fine di mantenere attivo lo scudo”.
Purtroppo, la campagna di vaccinazione con la quarta dose è stata viziata dalla notizia dell’arrivo delle nuove formulazioni vaccinali contro le più recenti varianti in circolazione, inducendo molte persone ad attendere. “Attualmente sono disponibili i vaccini con tecnologia a mRNA bivalenti, cioè pensati contro la variante originale del virus SARS-CoV-2 e contro la variante omicron BA1. Ma sono già disponibili anche i vaccini bivalenti con la variante originale più omicron BA4 e BA5”, precisa Pregliasco. “Queste due formulazioni distinte e aggiornate vengono considerate equivalenti nell’utilizzo, pertanto aspettare non ha senso. Solo se molte persone scelgono di vaccinarsi si mantiene un buon livello di protezione. Soprattutto tra chi è più fragile”.
Infatti, sebbene oggi i numeri ci indichino che la quota di malati gravi è inferiore rispetto al passato, la vaccinazione permette di abbassare ulteriormente la probabilità di sviluppare forme di malattia severa, riducendo ancora di più la frazione di quanti necessiterebbero di ospedalizzazione o ricovero in terapia intensiva. Come per l’influenza, anche coloro che non rientrano nelle categorie a maggior rischio e hanno già contratto la malattia possono pensare di rinnovare con periodicità la vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2. “A una distanza di 4-6 mesi dal COVID-19 si può già effettuare la vaccinazione”, precisa Pregliasco che, a questo proposito, sottolinea come il dosaggio degli anticorpi contro il virus SARS-CoV-2 non restituisca un riscontro di protezione poiché non esiste un valore soglia universalmente riconosciuto: semmai il dosaggio degli anticorpi può essere utile per stabilire un ordine di prioritizzazione dando la precedenza ai pazienti più fragili o a coloro in cui il titolo neutralizzante scende con maggiore rapidità.
“In questo momento sono in fase di sviluppo vaccini a proteine ricombinanti basati sulla variante beta”, conclude il virologo milanese. “Essi sono molto promettenti per le loro caratteristiche di conservazione, dal momento che non necessitano della catena del freddo e possono essere conservati in frigorifero. Si tratta di una tecnologia consolidata, che negli anni ha trovato impiego per lo sviluppo di vaccini anti-influenzali, anti-meningococco e anti-epatite. Questo permette di aumentare lo spettro dei vaccini oggi disponibili contro il virus SARS-CoV-2 nell’ottica di un ricorso periodico alla vaccinazione”.
Di Enrico Orzes