Una serie di esercizi per la mente che aiuta gli anziani a conservare la memoria senza usare farmaci: sarebbe efficace anche nel prevenire e ritardare gli effetti di malattie come l’Alzheimer. A metterlo a punto sono stati i ricercatori dell’Irccs Inrca – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per anziani, nell’ambito del progetto “My Mind: gli effetti del training cognitivo per anziani”. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Rejuvenation Research. Lo studio, finanziato nel 2012 dal ministero della Salute e dalla Regione Marche, ha coinvolto per un periodo di tre anni più di 300 persone over65 con l’obiettivo di sperimentare l’effetto di un programma di allenamento mentale – ‘training cognitivo’ multidimensionale – sul mantenimento e recupero delle abilità intellettive in tre diversi gruppi di anziani con diverso stato cognitivo. Persone sane, interessate a imparare alcuni metodi per evitare la perdita della memoria, soggetti con lievi disturbi e malati di Alzheimer. “Con l’aumentare dei casi di demenza – spiega Fabrizia Lattanzio, direttore scientifico – la ricerca impone di individuare cure non farmacologiche per prevenire le malattie neurodegenerative. È prioritario educare, fin dall’età adulta, ad uno stile di vita fisicamente e mentalmente attivo, anche nello svolgimento delle semplici attività quotidiane”. Il programma infatti include l’apprendimento di tecniche mnemoniche, di concentrazione e di orientamento, oltre a strategie per ricordare eventi e appuntamenti, unite a metodi per utilizzare la scrittura in modo da memorizzare più efficacemente, anche attraverso l’uso di liste, calendari e agende. Fino alla creazione di brevi racconti, che aiutano a fissare i ricordi e migliorano la padronanza del linguaggio. Fanno parte del programma anche alcuni dei passatempi più comuni, come le parole crociate, le carte o il sudoku. “Il training cognitivo – chiarisce Cinzia Giuli, psicologa dell’Unità operativa di geriatria Inrca di Fermo, responsabile del progetto – rappresenta un’innovazione nel campo delle terapie contro le demenze, poiché non ha effetti collaterali o controindicazioni, ed è altamente personalizzabile, con esercizi mirati per il singolo caso”. Dalle prime rilevazioni, al termine delle attività il 70% dei soggetti con Alzheimer ha avuto un significativo miglioramento delle performance e dello stato psicologico, in particolare nella batteria ADAS (Alzheimer’s Disease Assessment Scale), che valuta la gravità della malattia attraverso indicatori quali memoria, linguaggio e orientamento. Risultati promettenti, anche in un’ottica di prevenzione della malattia. “Nei soggetti affetti da lievi disturbi di memoria e concentrazione (una forma pre-clinica di Alzheimer nota come Mild Cognitive Impairment) ha aumentato – sottolinea Giuli – in circa il 50% dei casi la percezione positiva sulle proprie capacità di memoria, che influisce sulla probabilità di ammalarsi a distanza di qualche anno”. Un dato che sale ben all’81% sui soggetti sani. Effetti positivi sono stati riscontrati anche sull’umore, il livello di stress e il benessere percepito. Per proseguire l’esercizio anche a casa poi, lungo l’arco delle attività sono state fornite le istruzioni per applicare nella vita quotidiana – ad esempio nello stilare la lista della spesa – gli esercizi eseguiti con gli esperti, in autonomia o con l’aiuto dei familiari. Molti anziani infatti hanno manifestato il desiderio di proseguire le attività anche dopo la fine della sperimentazione. Un approccio multidisciplinare. Per comprendere più a fondo quali siano gli stili di vita più adatti a mantenere alte le performance cognitive, sono stati studiati alcuni aspetti biologici e psicologici sui biomarcatori, in particolare quelle proteine legate ai processi di apprendimento e memoria. Un’analisi statistica stima che nell’ambito dello studio sono stati raccolti complessivamente ben 480 mila dati.
La prevenzione delle malattie nervose neurodegenerative deve essere una priorità nelle politiche per garantire un invecchiamento attivo e in salute. L’aumento dell’aspettativa di vita rischia infatti di far “esplodere” il problema. Così come dimostrato da diversi studi. Governo e Regioni devono sentirsi in dovere di intervenire.