Mia madre è risultata positiva al tampone e quindi è affetta da Coronavirus. Ha iniziato ad avere la febbre l’8 di marzo, leggera, dopo gli è comparsa la tosse ed i dolori addominali. I dottori che l’hanno visitata non pensavano fosse Covid 19 in quanto l’ossigenazione era buona, e l’hanno curata con antibiotici e penicillina. Siccome i dolori non passavano mio padre il 20 Marzo l’ha portata in Ospedale. Dalla Tac è risultato una polmonite, l’emogas ha confermato la buona ossigenazione. Erano due giorni che non aveva più febbre e non stava malissimo, camminava da sola e reagiva bene, rimaneva la tosse e fiacchezza. Ha iniziato la cura da protocollo per il Covid19 il 24 Marzo. Già dalla prima notte ha iniziato a stare peggio, oggi 25 Marzo, non c’è la fa più ad alzarsi comincia ad avere problemi respiratori e parla a fatica. Il mio dubbio è il seguente: perché iniziare una cura, non certa e senza riscontri, in pazienti che non presentano una situazione clinica grave? non potrebbe essere la cura stessa causa del peggioramento? perché trattano tutti allo stesso modo? si potrebbe decidere di non continuare la cura? Vi sarei grato se qualche esperto mi desse una risposta. Grazie in anticipo.
Risponde il Prof. Pedone
Purtroppo sono molti i casi riportati in cui pazienti con pochi sintomi hanno poi avuto un repentino peggioramento. Non è possibile dare una riposta precisa alla sua domanda: la decisione di iniziare la cura si può essere basata sul quadro TAC di una polmonite aggressiva o su altre considerazioni che non sono ovviamente in grado di verificare. Per quanto riguarda il tipo di cura, per forza di cose al momento si stanno utilizzando farmaci su base empirica, è troppo presto per avere evidenze solide che guidino le scelte. In ogni caso, anche in situazioni così gravi il paziente (e solo il paziente, a meno che non sia interdetto) ha il diritto a rifiutare le cure, però in questo caso si tratterebbe di una scelta le cui conseguenze potrebbero essere molto serie.