Il primo rapporto nazionale dell’AIFA sull’uso dei farmaci nella popolazione anziana mette in rilievo l’uso concomitante di più di dieci farmaci in quasi il 30% degli anziani suggerendo prescrizioni più mirate
Per un anziano su tre il porta-pillole settimanale è uno strumento indispensabile dal momento che secondo i dati raccolti nel primo Rapporto nazionale sull’uso dei farmaci nella popolazione anziana in Italia, realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) con il coordinamento di AIFA e dell’Istituto Superiore di Sanità, è questa la proporzione di persone al di sopra dei 65 anni che assume dieci o più farmaci contemporaneamente.
Si tratta di una percentuale molto alta e che rimanda ad una serie di problematiche, sia di tipo medico che economico. In primo luogo, poiché il nostro è il Paese d’Europa con la maggior quota di popolazione anziana si deve considerare che la presenza di una o più patologie è un fattore di rischio non trascurabile per ls salute: secondo il rapporto il 75% dei sessantacinquenni convive con almeno una o due patologie e ciò implica un aumentato ricorso a farmaci per il loro trattamento.
Nel rapporto sono stati esaminate le tipologie di farmaci, poi distinte per consumo e da questa analisi è emerso un esteso utilizzo del colecalciferolo – meglio noto come Vitamina D – e degli antibiotici, ma anche di farmaci cardiovascolari (soprattutto quelli contro l’ipertensione arteriosa), gastrointestinali e del metabolismo, di antibatterici e anticoagulanti. Più diffusi tra le donne i farmaci contro l’osteoporosi e gli antidepressivi e quelli per la terapia del dolore. In sintesi, rispettivamente il 29% degli uomini e il 30,3% delle donne utilizzano dieci o più sostanze contemporaneamente e questo implica anche un carico economico non indifferente tanto che il rapporto ha stimato una spesa pro capite annua di circa 660 euro negli individui over 65. In tutto ciò è stata considerata anche la poco studiata situazione degli ultranovantenni, fra i quali l’utilizzo di farmaci è apparsa inferiore rispetto alle classi di età più basse: tuttavia, si è visto come farmaci ipolipemizzanti e anti-osteoporotici siano stati ampiamente assunti anche in assenza di una concreta e reale necessità terapeutica.
Un elemento che fa molto riflettere è proprio quello delle assunzioni multiple di farmaci spesso senza una corrispettiva appropriatezza terapeutica: infatti, nel rapporto sono state valutate diverse tipologie di associazioni di farmaci potenzialmente responsabili di interazioni farmacologiche anche severe o inappropriate nella popolazione over 65 per rapporto rischio/beneficio sfavorevole: ad esempio, è stato osservato l’uso concomitante di due o più farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento gastrointestinale nel 6,6% della popolazione oggetto di esame. Un dato che ha permesso di introdurre il tema della “deprescrizione farmacologica”, con la quale si intende diminuire o interrompere l’assunzione di farmaci che potrebbero non essere più utili o causare danni. L’obiettivo è quello di ridurne il carico migliorando la qualità della vita del paziente. Si tratta di un concetto che fa rima con il termine prevenzione e sull’uso sempre più ragionato di farmaci che non devono necessariamente diventare cronici.
Inoltre, nel rapporto è stato studiato e descritto il consumo di farmaci nel corso della pandemia da COVID-19, che ha avuto un impatto particolarmente devastante proprio sulle fasce di età più anziane e debilitate. Il lockdown ha di fatto impedito le normali visite di controllo necessarie per varie patologie croniche e ciò ha influito sul consumo dei farmaci: rispetto al 2019 nel 2020 si è ridotto il consumo di antibiotici e FANS proprio perché si sono ridotte le infezioni delle alte e delle basse vie respiratorie – le mascherine e il distanziamento sociale hanno ridotto la probabilità di trasmissione – tuttavia sono aumentate le prescrizioni di farmaci anticoagulanti probabilmente in seguito all’aumento di prescrizioni per eventi tromboembolici correlati alla malattia da COVID-19 o per la loro profilassi. Il rapporto ha concluso come il maggiore decremento si sia osservato nelle fasce di età più avanzate, a testimonianza della loro maggior difficoltà di accesso alle cure.
di Enrico Orzes